Avere un brutto carattere
Ieri dopo aver controllato l’andamento del blog e i relativi commenti, ho scoperto che esistono persone a cui non interessa spiegare nulla sui tempi bui che stiamo vivendo ne tanto meno sulla falsa politica che ci propinano i nostri rappresentanti, persone interessate solo al seguito di follower che riescono ad attrarre. Oggi in virtù di ciò ho deciso il tema da sottoporvi, dovete sapere che in questo periodo di, chiamiamola
“riflessione consapevole” sto leggendo e rileggendo molto e, al netto di tutti i
“disturbi” esterni non richiesti che mi arrivano da un mondo sempre più
schizofrenico, nella mia mente si affollano e si spintonano tanti argomenti.
Poi mi sono ricordato di una frase che mi ero appuntata tempo fa, sono quindi andato a cercarla tra la montagna di annotazioni, frutto di una vita di letture.
Trovata ! :
“Avere un brutto carattere significa essere sincero… ribellarsi, prendere decisioni che non tutti condividono… avere degli amici selezionati, avere anche dei nemici. Rivendicare la propria dignità ed assumersi la responsabilità delle proprie scelte !
Allora sì. Ho un cattivo carattere e sono fiero di averlo”. (cit.)
Allora l’argomento di oggi sarà il CARATTERE, visto da un prospettiva
inabituale, ma molto significativa:
“Escluso dai piani alti della filosofia e della scienza, lo studio del carattere ha trovato alloggio in mezzo ai moralisti, con grave danno per l’idea di carattere. Tutte le varietà di carattere furono divise in due sacchi: Buono e Cattivo. Anche il soggetto del carattere finì per degenerare. Un tempo degno di matura riflessione, diventò argomento di semplicistici precetti per bravi bambini.
In origine il carattere non era tagliato per subire censure morali. I primi *caratteriologi* parlavano per immagini. Inventavano figure fittizie e osservavano la vita con occhio acuto e lingua tagliente, come fanno, oggi, romanzieri e umoristi. Il primo libro su questo argomento, I CARATTERI di Teofrasto da Lesbo, il successore di Aristotele nella direzione della sua scuola, descrive una serie di figure immaginarie che potrebbero essere prese dagli archivi di un’agenzia di attori (caratteristi ndr).
[…]
Come è diverso il modo in cui trattiamo il carattere in queste pagine!
Il nostro tentativo è quello di liberarlo sia dalla religione, sia dalla scienza, dando spessore alla sua psicologia, scoprendo come sia definito non tanto da virtù morali, quanto da peculiarità individuali. Spesso certi tratti saranno
inadatti alla finalità della religione e inutili per la sopravvivenza dei geni, eppure come aumentano la ricchezza immaginativa della vita !
[…]
Più importanti dell’entità e della forza di qualsiasi altro contenuto sono l’entità e la forza dell’intelligenza immaginativa, che un tempo si chiamava sagacia o previdenza. L’intelligenza immaginativa è una sorta di vista interiore, di percezione intuitiva delle immagini all’opera nella nostra vita.
E queste sono le nostre verità: La verità intesa non come dottrina o principio; la verità come istinto. Perché il carattere agisce alla stregua di un istinto sottostante, che sottolinea incisivamente i gesti che facciamo, le parole che diciamo, segnalandone lo stile particolare. E’ una forza immaginante per cogliere le tracce della quale occorre intelligenza immaginativa.
Esiste un sentimento intuitivo che ci impedisce di deviare troppo dalla nostra strada e di oltrepassare troppo i nostri confini, coinvolgendoci in mondi estranei alla nostra natura autentica. Questo senso intuitivo trova un parallelo in analoghe risposte inibenti proprie di tutte le specie, forse di tutte le cose, che le mantengono fedeli alla forma data. Il margine, per noi
esseri umani, può essere molto ampio; la nostra eccentricità potrà essere la nostra dote più durevole e duratura, ma non possiamo aggiungere una virgola che sia inautentica, senza provocare il collasso dell’istinto che ci
sostiene. L’effetto inibente della nostra immagine innata, impedisce una simile inflazione, quel superamento dei limiti, quella HYBRIS che il mondo classico considerava il più grave degli errori umani. In questo senso, il carattere funge da forza guida.
“ […] Hillman scrive; Non dimentichiamo che il carattere è sempre qualificato. Consiste di tratti, immagini, qualità. Per definizione, esso si riferisce ai segni distintivi che rendono una cosa riconoscibilmente diversa da un’altra. Ciascun carattere è vincolato a se stesso dalle qualità che gli sono proprie. E’ di necessità limitato dalle sue stesse qualità. *Cattivo*, dunque, può essere soltanto un carattere assolutamente vuoto, il carattere di una persona priva di qualsivoglia caratteristica distintiva, epurata da ogni qualità, un foglio bianco , Se le mie uniche qualità sono i peccati, sarò magari privo di morale ma non privo di carattere.
Di conseguenza una persona di carattere non sarà, necessariamente, un esempio di moralità. In altre parole, una somma di ragionevoli peccati non definisce un carattere spregevole. Tale sarà invece la persona incapace di vedere in profondità, alla deriva in mezzo agli eventi, abbarbicata a virtù ingessate ma non ancora alla propria immagine, inconsapevole della propria unicità. Un tipo che non immagina chi sia: insomma un innocente.
Che poi sia sleale, svergognato, irresponsabile, inaffidabile, dissoluto discende da quella prima pecca. L’innocenza non ha nessuna guida che la regga, se non l’ignoranza e la negazione.
In questo mi rifaccio a una tradizione risalente a Socrate, il quale considerava un male l’ignoranza, soprattutto l’ignoranza dell’anima, e la dedizione al sapere illuminato la vocazione prima dell’essere umano.
Secondo quella tradizione, il carattere, per diventare *Buono*, necessita di un’educazione psicologica che altro non è che dissipare l’innocenza. E’ un lavoro nelle e sulle ombre. Socrate e Freud scavavano nella medesima caverna.”
da: LA FORZA DEL CARATTERE – James Hillman –
Per dirla in poche parole: chi ha carattere, ha un brutto carattere… questo per gli
altri… per quelli che ne sono privi :👿
Nico Max Weber

Immagine tratta dal web